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Maestro o Istruttore
Ruolo dell'Istruttore e del Maetro nel Karate - Do
A cura di Padoan Ivana Maria
Università di Venezia Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze

Scopo finale, spesso non apertamente confessato, di una persona che, dopo diversi anni, continua a praticare Karate-Do, sia che lo faccia per passione, per professione, come immagine, come identità, o tutte queste cose assieme, è quello di raggiungere un giorno la maestria dell'Arte, con tutte le implicazioni che questo comporta.

Seguire il Do del Karate-Do è seguire un percorso formativo lungo, arduo, impegnativo. E' appunto dell'essere Maestro che vorrei parlare.

Vorrei parlarne dal punto di vista del formatore, stabilendo una sorta di dialogo dal di dentro, non solo dall'esterno, un dialogo di socratica memoria.

Visto che parlo di formazione, si dovrà necessariamente introdurre il concetto di evoluzione nel tempo. Il mio discorso si posiziona nel momento in cui dalla condizione di allievo, il praticante vuole divenire istruttore. Qui sono costretta a rilevare la differenza: fra l'essere Maestro e l'essere Istruttore. La differenza si situa nel rapporto tra techne e poiesis.

Nel Karate-Do l'aspetto primario e prioritario è la Tecnica. Il Karate-Do è una pratica cosè ben codificata che si è trasmessa e tramandata negli anni (secoli), con una propria perfezione, una propria configurazione d'insieme, cioè come un sistema perfetto e stabile. Colui che possiede le chiavi per entrare in questa configurazione d'insieme, è l'istruttore anche se non padroneggia il sistema per i limiti della tecnica in sè.

Primo compito dell'istruttore è dunque quello di conoscere perfettamente la tecnica, nelle sue relazioni interne ed esterne. Secondariamente si tratta di prendere in carico un gruppo di allievi e alfabetizzarli.  Per fare ciò l'istruttore si deve dotare di una metodologia d'insegnamento, anzi più esattamente di una metodologia d'istruzione.

Secondo Clauberg i tre grandi gruppi di problemi posti dalla trasmissione delle conoscenze sono:
1) Che cosa e a quale fine si trasmetta;
2) Chi debba trasmettere e chi debba essere il destinatario della trasmissione;
3) In qual maniera si debba trasmettere.


E' l'organizzazione delle conoscenze a decidere profondamente intorno allo stile pedagogico. Di conseguenza di dovrà considerare l'azione dell'istruttore quale occasione e strumento per collocare le richieste conoscitive. L'istruttore è già un mezzo, "una strategia" d'insegnamento e, in ultima analisi è un prodotto fabbricato, come lo è l'allievo.(Il termine "Insegnamento" è dunque inteso qui in senso preciso e ristretto: quello di trasmissione formale delle conoscenze, di "Istruzione" e non di educazione, che è tutt'altra cosa.)

Il gran segreto della didattica, ossia dell'arte di insegnare, è di essere in condizione di chiarire la subordinazione delle conoscenze.

In effetti conoscere la tecnica è entrare in un mondo di segni e simboli, pieni,nel loro significato e finitinel loro messaggio. L'Istruttore conosce questo linguaggio e, si dice spesso, lo fa suo. Ma non è cosè facile. Far proprio un linguaggio cosè simbolico e cosè interiorizzato culturalmente, è possibile solamente col compiersi di una identificazione.

Questo significa che in realtà si diventa istruttore, al di là di diplomi e riconoscimenti esteriori, quando inizia a costruirsi la relazione tra sè stesso e quel linguaggio/techne.

L'istruttore di Karate-Do è colui che per mezzo della tecnica del Karate-Do, parla, comunica, trasmette significati. Il suo è un linguaggio di: gesti, codici, simboli, situazioni, costruzioni corporee, figure.

L'istruttore non è più l'allievo che assimila ed impara una tecnica, è colui che nella tecnica inizia il cammino della costruzione del SE'. Egli infatti lavora la tecnica, la esplora, la sperimenta, la mette in relazione continua con le proprie potenze corporee e psichiche.

Il corpo, la corporeità, è l'altro aspetto della tecnica che un istruttore ha il compito di sviscerare e far proprio nella sua complessità.

Un istruttore deve quindi relazionare la tecnica con il proprio corpo e non viceversa, come fa l'allievo, solo cosè attiva il processo di conoscenza di sè, del proprio linguaggio corporeo e diviene capace di leggere i segnali personali, e cercare la strada per maturare al meglio la propria, personale tecnicità.

L'Istruttore fa fatica, molta fatica; la sua è una fatica fisica, tecnica, corporea, una fatica "scientifica".

In questa operazione, in questo sforzo di realizzazione vi è, da subito, la consapevolezza delle potenzialità della tecnica e delle difficoltà, vi sarà quindi la necessità di una programmazione. Si tratta di strutturare scientificamente le conoscenze psico-fisiologiche da porre in rapporto/supporto alla tecnica d'insegnamento. L'organizzazione "Ingegneristica" dell'istruzione tecnico-corporea in definitiva sottolinea il primo livello di superamento nella pratica, la reciprocità corpo-tecnhe.

La tecnica nel Karate-Do non deve tuttavia essere intesa riduttivamente o meccanicamente come una parte del corpo da agire, ma soprattutto, come una struttura viva, tuttavia esperta da coniugare con il proprio corpo  e dunque struttura in apprendimento.

La scelta del  Karate-Do viene fatta per esprimere non un semplice allenamento, ma per qualcosa che va al di là delle proprie capacità, al di là del corpo che uno ha, vive, possiede, si fa per la simbologia che esso rappresenta. In questo caso il mito diventa un facilitatore dell'apprendimento, a tale scopo diventa meno necessario relazionarsi da subito con la psicologia delle persone o con la sociologia del gruppo, quanto con la maestria dell'insegnamento, con l'istruzione, con la progettazione del percorso, con la valutazione dello stesso.

Un istruttore vede quando gli allievi devono rinforzare una parte del corpo per portare a compimento una tecnica, quando hanno bisogno di esplorare, di associare, di promuovere una tecnica, un gesto, una figura, o quando egli deve ricorrere ad un principio o ad un concetto per aiutare la comprensione. A questo punto è in grado di leggere dietro al gesto, la forma, egli arriva cioè a capire se l'allievo ha la competenzadella forma.

E noi sappiamo che si diventa competenti quando dietro alla forma vi è un'expertise. Tutto ciò è stato chiaramente definito da Bruner, psicologo culturale dell'educazione, quando definisce i tre livelli di apprendimento, ovvero:
1) L'atto motorio;
2) L'azione iconica;
3) L'atto mentale, cioè il concetto.


Molto più in là, al di là della competenza vi è la padronanza. In questo caso parliamo di Maestro. Il Maestro è stato un istruttore, ha expertise tecnica ma è diventato altro. Egli si situa su di un registro diverso.

Il Maestro non ha davanti a sè solo apprendisti, ma ha "Persone" che entrano in un sistema filosofico, rappresentato dal Karate-Do da questa pratica, esoterica ed essoterica.

Il Karate-Do è una pratica, ma è anche una filosofia, per qualcun altro addirittura la via.

Agli allievi il Maestro situa la filosofia del Karate-Do attraverso la "Pratica". Ho usato volutamente la parola "Pratica", al posto della parola "Tecnica", perchè la pratica è un superamento della tecnica e diviene Formazione

Un Maestro concepisce il suo intervento come un triangolo, i cui vertici sono rappresentati:
1) Dal sapere delle persone;

2) Dalla forma alta del Karate-Do:
3) Dalla strategia della formazione.


Dal punto di vista dell'insegnamento il Maestro non si limita ad istruire sulla tecnica, a lui si apre un altro mondo: il mondo delle persone in formazione.

Il Maestro ha un compito etico e deontologico, ha il compito dell'educazione e della formazione, altrimenti non può essere chiamato Maestro, ma solo Istruttore.

Per penetrare il mondo di una pratica cosè antica e strutturata nel tempo e nello spazio come quella del Karate-Do, il Maestro deve fare un percorso dentro di sè, deve coinvolgere la propria dimensione umana, culturale e professionale in quello che sta facendo

Un Maestro non deve necessariamente arrivare ad una raffigurazione mitica della pratica, lo stesso Platone ammetteva il mito solo come condizione, come persuasione all'apprendimento e non come identificazione, cosa invece che accadeva al tempo di Omero.

Il Maestro non deve parimenti considerare il Karate-Do come un rituale, altrimenti toglie alla pratica la sua forza vitale e creativa. Un Maestro conosce e capisce i simboli e la loro vera significazione, vive i simboli e la loro creazione, un Maestro lavora la tecnica in modo tale da farla diventare un prolungamento del proprio corpo.

La pratica lascia, allora, una traccia nel corpo, un segno, una traccia del simbolo originario. E' il momento in cui si coglie la riflessività della pratica in sè.

Il  tempo formativo del Maestro è un tempo lungo. La fine se c'è arriva da sola. Essa arriva quando si compie il compimento.

Per superare la tecnica ed entrare nella pratica (nell'episteme della pratica), per entrare cioè nella dimensione di Maestro,va superato, il sistema comportamentistico dell'istruzione e dell'addestramento a favore di un'impronta educativa e formativa.

Attenzione però! Insegnanti non si nasce e neppure lo si diventa facilmente ed ancora, non si diventa insegnanti facendo meramente pratica di insegnamento. Per saper insegnare è importante conoscere le strategie dell'apprendimento. perchè? perchè l'apprendimento non dipende direttamente dall'insegnamento; infatti ognuno di noi quando impara, impara con i propri modelli e non con quelli dell'insegnante.

L'insegnamento è funzionale all'apprendimento quando l'insegnante è:
1) Creativo;
2) Formativo;
3) Impeccabile;
4) Rigoroso;
5) Flessibile;
6) Strategico;
7) Proattivo;
8) Mediatore
.

Quando l'insegnante lavora nell'area prossimale delle potenzialità del soggetto allora l'allievo ha il massimo dell'apporto dell'insegnamento. A questo punto si può parlare di eccellenzadell' essere Maestro. Essere Maestro è entrare nella conoscenza dell'altro; l'altro, l'allievo o il gruppo sono soggettività relazionali.

Il Maestro insegnare, valutare, dimostra, differenzia, in questo rappresenta un polo della relazione, l'altro polo è la presenza, la partecipazione, il sistema di attese degli  allievi. L'identità del Maestro non può essere l'Io egoico del superuomo, che guarda l'altro dal proprio mondo, ma un io/altro che guarda il mondo dal di dentro e dal di fuori con empatia e con distacco.

Empatia per capire, distacco per aiutare e superare.
Socrate per tutta la vita e in tutte le forme ha raccomandato all'uomo il " Conosci te stesso", ed ha aggiunto "So di non sapere". Questo sapere di non sapere è la via della ricerca e della conoscenza.

Un Maestro per essere Maestro cerca di conoscere se stesso, non sa mai tutto, perchè sa di non sapere e coinvolge la sua pratica in questa continua sperimentazione del sapere.
Un Maestro è in ricerca perenne.
Essere in questa ricerca significa superare la tecnica.
Da ultimo vorrei dare alcuni spunti di riflessione sulla dimensione estetica del Maestro .
Ho accennato al concetto di forma, alla configurazione dei segni e dei simboli parlando dell'istruttore.

Al Maestro non è sufficiente conoscere la forma, ma è necessario arrivare all'estetica della pratica. Ma cos'è l'estetica se non la personalizzazione eccellente della pratica?

Si parla molto oggi dell'estetica del conoscere, dell'essere e del fare. Estetica deriva da extasis, estasi di fronte al bello, ed è quindi il bello dal Karate-Do l'oggetto della riflessione.

Credo che questo sia meglio che lo dicano i praticanti esperti, io non so se lo saprei definire bene. Ho un'intuizione dell'estetica del Karate-Do quando questo raggiunge l'unità e l'armonia della corporeità, della mente e della tecnhe.

Concludo riassumendo. Ho parlato dell'essere istruttoree dell'essere Maestro, non ho parlato di persone perchè un soggetto istruttore  può contenere anche la dimensione di Maestro e un Maestro può essere soltanto un istruttore.

A Voi la riflessione


Tabella Ivana


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