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Ricordando il Maestro M. Nakayama
di Hoshu Ikeda - Capo Istruttore della Nippon Karate-Do
Jyoshinmon Renmei

Nakayama SenseiM° Ikeda: Come ha risolto i problemi inerenti alle competizioni nel karate, di fronte alle perplessità ed alle resistenze dei maestri del tempo per questo tipo di innovazione?
M° Nakayama: Negli anni 50 in Giappone c'è stato un grande fermento nell'ambito dello sport.
Il movimento sportivo acquistò molta importanza nelle Università e lo sport fu inserito a pieno titolo nei programmi di studio. Nel contempo cominciarono a formarsi le prime Federazioni per regolamentare ed organizzare le varie competizioni.
Anche dagli studenti che praticavano il karate mi venne rivolta la richiesta di competizioni o più precisamente di inserire la competizione nell'ambito del karate.
Interiormente ne avevo già sentita l'esigenza, ma temevo che la competizione potesse stravolgere il karate come disciplina tradizionale, quindi, agli studenti risposi che la cosa era da escludere. Dentro di me non ero convinto però delle mie parole, così andai a parlare con il M° Funakoshi.
Alla mia proposta il Maestro ebbe una violenta reazione e, con i lineamenti del viso alterati dal disappunto, mi disse che se avevo il tempo per pensare , alterati dal disappunto. mi disse che se avevo il tempo per pensare a certe cose era meglio che andassi a fare un pò di allenamento di kata.

M° Ikeda: ( sorride divertito)
M° Nakayama: A quel tempo su tre ore di allenamento due erano dedicate allo studio del kata.
lo però pensavo, che il karate così com'era non avrebbe avuto un futuro perchè si sentiva la mancanza del confronto reale con un avversario. In quel periodo ci si limitava alla pratica del kata, al bunkai ed alle tecniche preordinate, non si poteva perciò prevedere di studiare la strategia, la tecnica, la tattica e la tensione di un combatimento.

M° Ikeda: So desu ne ( è vero)
M° Nakayama: NellAgosto del 1954 a "Sendai" (nord-est di Honshu, Giappone) ci fu un raduno collegiale organizzato dal K.C. dell'Università Takushoku di Tokio. Esso coincideva con l'inaugurazione di un centro ricreativo e per l'occasione c'era un pubblico numeroso.
Decidisi allora di organizzare una gara tra 20 cinture nere applicando un regolamento provvisorio. La manifestazione ebbe un enorme successo per la spettacolarità delle tecniche e per la capacità ed il controllo degli atleti.
Non si registrarono incidenti ed il fatto creò sensazione per il Kime e l'estrema efficacia dimostrati.
I giornali riportarono l'avvenimento con grande evidenza e dopo molti anni si parlava ancora di questo successo.

M° Ikeda: Ne sono convinto!
M° Nakayama: Quella volta studiammo tre notti per formulare il regolamento, attingendo dai regolamenti di judo, kendo, lotta e pugilato.
Dopo questa esperienza si continuò a studiare fino al 1957 e ad Ottobre del 1957 fu organizzato il 1° Campionato Nazionale della J.K.A. a Tokio
ll fatto straordinario di quell anno la scomparsa del Maestro Funakoshi (29 Aprile 1957) e nel mio cuore è rimasto il rimpianto di non avergli potuto mostrare il regolamento definitivo della competizione.

M° Ikeda: Posso parlare?
M° Nakayama: Prego.

M° Ikeda: Se il M° Funakoshi fosse ancora in vita forse non sarebbe contento , ma i riusultati hanno dimostrato che la competizione ha dato inizio ad un grande progresso del karate nell'Hondo (Giappone, escluse le isole minori) contrariamente all'isola di Okinawa dove la competizione non é ancora accettala. (Bisogna ricordare che l'intervista fu rilasciata nel 1978, attualmente anche nell'isola di Okinawa si organizzano gare di karate).
M° Nakayama: E' vero

M °Ikeda: In Okimawa era più difficile introdurre un combattimento perché il karate è sempre stata l'Arte Marziale con maggiore tradizione, nell'Hondo invece esistevano altre discipline che avevano già iniziato con le competizioni es: Judo Kendo, Sumo; per il karate é stato facile inserirsi come nuova arte marziale competitiva. Il problema era solo quello di stabilire che tipo di competizione dovesse essere fatta. È stato molto importante quindi che nel 1957 venissero effettuate sia la competizione di kumite, sia la competizione di kata.
Giò ha dimostrato il grande livello tecnico ed allo stese tempo ha fatto in modo che il kata non perdesse importanza
M° Nakayama: Sono molto contento che Lei dica queste case pur essendo un maestro di uno stile diverso.
Le mia preoccupazione era che tutti si dedicassero esclusivamente all'allenamento del kumite tralasciando lo lo studio del kata. A tal proposito mi sono impegnato a studiare un regolamento idoneo, traendo spunti dalla ginnastica, tuffi, pattinaggio artistico; ho formulato così l'attuale regolamento stabilendo dei criteri di giudizio e relativo punteggio.
Mi sono accorto che questo sistema era molto apprezzato dal pubblico, perché al termine di ogni esecuzione tutti potevano dare un loro giudizio che, quasi sempre, coincideva con quello degli arbitri. Il coinvolgimento del pubblico, in particolare quello femminile,mi ha dato la certezza della bontà di questa scelta. Nonostante questa tranquillità io avrei voluto consigliarmi con il Maestro Funakoshi, ma ciò non era più possibile.

Le mie preoccupazioni erano molte, con questo tipo di gara poteva venire meno il vero spirito del karate, c'era il rischio che diventasse un'attività che desse origine a violenza, perdendo la tradizionale disciplina, e che il kata si riducesse ad una pura esecuzione gestuale senza tensione emotiva e kime.

M° Ikeda: E' vero!
M° Nakayama: Un altro problema può nascere dalla differenza della struttura fisica ( es: un giapponese ed un europeo) in tal caso bisogna fare affidamento sulla vera essenza del karate, eseguendo le tecniche con grande convinzione kime e velocità. Fino al 1965 questo era vero, ma dal 1966 con la maggiore diffusione della competizione, molti atleti si preoccupano solo di vincere, dedicano molta attenzione alla strategia ed alla tattica ma perdono di vista l'efficacia.
Il combattimento è comunque sempre un rischio come lo sono molte altre attività ad esempio il salto con gli sci.

M° Ikeda: E' vero! Un altro problema è il " Sundome" (controllo a distanza di 3.3 cm), esso non dà l'impressione dell'efficacia. Riducendo però la distanza del controllo può avvenire il contatto, di riflesso si presenta il problema delle protezioni. Esse però riducono notevolmente la possibilità di movimento.
M° Nakayama: So desu ne ( è vero)

M° Ikeda: Un atleta che esegue nydan geri, a causa delle protezioni può avere il movimento ridotto, quindi l'avversario lo può afferrare e nella caduta può subire dei danni.
L'esigenza è di equilibrare i due punti di vista del Budo e dello Sport.
M° Nakayama: E' vero

M° Ikeda: Quello che voglio dire è che ogni disciplina ha una componente di rischio.
M° Nakayama: Si

M° Ikeda: E importante capire che cosa possiamo fare per ridurre la possibilità di incidenti. Una eventualità è quella di migliorare la tecnica e la capacità di focalizzare la forza in qualsiasi punto del movimento (kime). Quindi i praticanti devono avere un giusto atteggiamento ed un forte spirito.
M° Nakayama: Si è vero!

M° Ikeda: Mi sento proprio di ringraziarla dal profondo del cuore per l'opportunità che mi ha dato, con questa intervista, di conoscere la sua opinione riguardo al Karate Sportivo.
M° Nakayama: Un ulteriore problema nasce quando una persona alta usa una tecnica di braccio (kizamizuki) con un giusto tempo ma da una posizione non corretta, l'arbitro concede il punto senza tenere conto dell'efficacia.

M° Ikeda: Si! Si!
M° Nakayama: Per farmi capire meglio mi viene in mente un episodio: quando Geesink vinse il campionato del Mondo di Judo disse: "Non ho vinto solo perché sono grasso, Yashintatsu e Kaminaga erano quasi come me, io ho vinto perché conosco il judo meglio di loro".
I Giapponesi cominciano l'allenamento con randori e finiscono con randori, facendo solo ciò che a loro piace, e, allenano solo alcune tecniche di combattimento, senza cercare un miglioramento generale e completo. lo cerco di studiare meglio possibile tutta la tecnica e se trovo un avversario in grado di fare rardori con me basta fare pratica una o due volte al mese".
L'opinione di Geesink è molto giusta; anche per il karate deve essere così!

M° Ikeda: Veramente!
M° Nakayama: Se non si pratica il kata nel modo giusto non si avrà un corretto uso del corpo nel combattimento; non sarà chiaro l'uso dell'anca, la posizione, la dinamica della tecnica. Inoltre il bagaglio tecnico sarà molto ridotto, perché ognuno farà sempre la tecnica preferita e non la più efficace richiesta dalla situazione; (es: se ad un atleta non piacciono le tecniche di calcio non le eseguirà mai).

M° Ikeda: Veramente!
M° Nakayama: Fino a qualche anno fa i giapponesi potevano far valere la maggiore esperienza nei confronti degli europei e degli occidentali in generale, ma quando anche questi avranno raggiunto buoni livelli, per noi sarà molto difficile il confronto. In tal caso si dovrà tornare alle origini del karate usando le tecniche con grande convinzione ed efficacia; qualità date da una pratica approfondita dei fondamentali tanto da farli diventare una cosa unica con nei stessi (karate-tai = corpo da karate)
La mia attuale preoccupazione è che oggi i contendenti si interessino solo del risultato sportivo, usando solo il tempo come elemento vincente; in tal modo il karate perderà di efficacia e di fronte ad un avversario veramente forte non ci sarà alcuna opportunità di vittoria.

M° Ikeda: So desti ne (Veramente! Ne sono convinto!). Nelle competizioni internazionali i giapponesi possono trovarsi, a volte, in difficoltà nei confronti degli occidentali a causa della differente struttura fisica; bisogna allora trovare il modo di poter vincere, migliorando la tecnica, ma in particolare lo spirito e l'atteggiamento degli atleti.
Come la Cina ha il diritto di difendere il wu-shu, perchè caratteristica arte marziale di quel Paese, così il Giappone ha il dovere di difendere il karate. Iu ho notato questo atteggiamento negli atleti giapponesi durante il Campionato I.A.K.F. nel 1977 a Tokio. Quindi gli atleti giapponesi devono capire che, se il loro spirito è debole e vengono sconfitti dagli occidentali tutto il mondo subirà questa loro inferiorità. Il destino del Giappone é quello di essere di esempio e da stimolo a tutti per il miglioramento del karate. in quanto depositano di questa arte.
M° Nakayama: E' veramente cosi, io attualmentesto insegno all'Università di Polizia a Tokio e molti maestri di judo di questa facolta sono preoccupati perché ci si sta orientando verso le categorie di peso come per la lotta.

M° Ikeda: Si!
M° Nakayama: Inoltre se durante le competizioni di judo si penalizzano determinate tecniche o posizionti (es. un giniocchio a terra) un atleta piccolo non potrà più utilizzare una meravigliosa tattica di sollevamento seguita da un repentino abbassamento della posizione per sbilanciare e quindi proiettare l'avversario.
Per questi motivi il Judo stesso vedrà notevolmente ridotte le sue possibilità di miglioramento.
Le penalità hanno l'obbiettivo di non permettere l'uso di tecniche rischiose ed orientare la strategia verso l'uso della forza; ciò può essere considerato razionale, ma riduce la possibilità di mantenere e studiare le tecniche originarie del Judo. A mio avviso le squadre giapponesi di judo e karate devono essere molto forti e mantenere una leadership mondiale perchè siamo di stimolo e di esempio per tutti; solo così l'Arte Marziale avrà possibilità di miglioramento.

M° Ikeda: So desu ne (E' veramente così). Cosa bisogna curare nella preparazione della squadra?
M° Nakayama: Per il karate il kime della tecnica deve essere una esplosione di massima potenza nel punto giusto.

M° Ikeda: Si, è vero
M° Nakayama: Il kime non centra con l'arresto della tecnica ad una distanza giusta per l'ippon o con la squalifica per il contatto, ma nel modo particolare in cui la tecnica va eseguita, ponendo il bersaglio nel punto in cui noi vogliamo colpire con la massima esplosività e focalizzazione di potenza.

M° Ikeda: Sono d'accordo Maestro! Vorrei chiedere, Maestro, cosa ne pensa delle categorie di peso nel karate.
M° Nakayama: Io non penso di inserire, ancora, le categorie di pesto nei karate.

M° Ikeda: Maestro, posso parlare?
M° Nakayama: Prego.

M° Ikeda: Io sono contrario alle categorie di peso.
M° Nakayama: Davvero?!?!

M° Ikeda: Se nel judo qualche cosa è cambiato in peggio, ciò è colpa delle categorie di peso.
M° Nakayama: Eh, si!

M° Ikeda: Io penso che il miglioramento della tecnica e della tattica nel karate si è avuto con la ricerca della vittoria da parte del più piccolo contro d più grande.
Qualche anno fa ho visto a Fukuoka nelle kyu shu il Campionato della J.K.A.
lo ricordo benissimo, e non dimenticherò mai, nella finale, due concorrenti con una differenza di 10 Kg. di peso; ha vinto il più piccolo con una tecnica semplice una con grande kime ed una tattica perfetta.
Il regolamento di gara non deve permettere di pendete questa possibilità di studio e miglioramento.
M° Nakayama: Sono convinto di questo e finchè io vivrò non permetterò di inserire le categorie di peso nella J.K.A.


La storia dal punto di vista del Maestro Nakayama

Interviste ai Maestri
Giapponesi - Italiani - Taiji Kase - Hiroshi Shirai - English texts -


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