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Intervista al Maestro Hiroshi Shirai
2007 di Armando Massarenti -

TUTTA L'ENERGIA DELLA MANO VUOTA -

Sguardo diretto, sorriso equilibrato, postura del corpo che esprime al contempo serenità e tensione. Hiroshi Shirai, 70 anni, è maestro di maestri di karate italiani. Non parla volentieri in italiano, e ancora meno inglese, ma grazie alla sua disponibilità e gentilezza siamo riusciti a conversare su questa arte marziale sempre più diffusa nel nostro paese.

Ho cominciato nel 1956 in Giappone. Avevo 18 anni e due motivazioni di fondo. Innanzitutto, cosa per nulla scontata, il piacere di questa pratica. Poi la sua utilità per la difesa personale. Dopo un anno però ho scoperto un altro mondo: quello delle competizioni, e a vent’anni ho cominciato a parteciparvi. Ricordo bene quando durante quei due anni di formazione percepissi con chiarezza come il mio costante miglioramento fisco andasse di pari passo con quello spirituale.

La pratica del karate, parola che significa “mano vuota”, può essere anche descritta come pratica filosofica, che dall’esercizio del corpo conduce alla serenità interiore?
Il karate è soprattutto spirito. Nel senso di energia, forza, che scaturisce da chi pratica. Non solo in senso fisico. Anche quando ci si comporta correttamente con gli altri e si è consapevoli del proprio operare, in gioco ci sono la stessa forza ed energia. Lo spirito del karate è basato su un modo corretto di vivere, che parte dal rispetto per gli altri, estrinsecato per esempio nel saluto di inizio e al termine di ogni competizione. La tecnica di base riguarda il colpire, il difendersi, lo stare in posizione e poi spostarsi, schivare i colpi, prevedere le intenzioni dell’avversario. Se si imparano queste cose migliora anche il proprio spirito.

Vi è un’idea di “gratuità” in tutto questo?
Si soprattutto nel karate tradizionale, che è quello che prediligo perché non assegna alcuna importanza alla vittoria o alla sconfitta.

In alcune arti marziali la leggerezza, nelle movenze della lotta, è essenziale duttilità, flessibilità, arrendevolezza, cedevolezza, che ruolo ha questo senso la respirazione?
La disciplina del corpo, il controllo della respirazione, il contenimento della tensione di ogni muscolo, sono una via per raggiungere l’equilibrio interiore e la serenità. Durante un combattimento si respira in modo diverso da quando si è fermi e quando ci si muove. Se non si usa appropriatamente la respirazione, non si riesce a contrarre il muscolo nella maniera opportuna. Quando si colpisce, tutta l’energia del nostro corpo si concentra in un singolo punto e questo avviene durante l’espirazione. C’è anche un modo per non far capire all’avversario come si sta respirando altrimenti per lui diventa facile identificare le nostre intenzioni e quando sferreremo il nostro attacco.

Come si conciliano la violenza dei colpi con la grazia della sua filosofia?
Per l’energia che sprigionano, i colpi non possono essere davvero rivolti contro qualcuno, sono troppo potenti, farebbero danni pazzeschi e spaccherebbero tutto. Dunque la vera essenza del karate è che non deve servire a niente. Ciò che insegnavano i vecchi samurai, i quali, pur allenandosi ogni mattina, anche con spade e bastoni, stabilirono regole per impedirsi di doverne far uso.

Arrmando Massarenti
Interviste ai Maestri
Giapponesi - Italiani - Taiji Kase - Hiroshi Shirai - English texts -


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