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La storia della FESIKA a cura di Davide Rizzo - Alfredo Guffoni -
Alfredo Gufoni
Aldredo 'Bibi' Gufoni ha raggiunto i gradi più alti nella disciplina del karate
di Renato Roffi
Alfredo GufoniLIVORNO - Non si finirebbe mai di ascoltare il maestro Alfredo (Bibi) Gufoni, pioniere delle arti marziali a Livorno e primo in assoluto ad avervi praticato il karate, la nobile ed antichissima arte del combattere a mano (te) nuda e disarmata (kara), sorta per necessità pratiche, forse in India, in tempi remotissimi, e sviluppatasi nelle forme classiche in Okinawa, fra il XVI e il XIX secolo.

Lo abbiamo scovato durante una pausa, fra un corso di ginnastica e una lezione di karate in una palestra di Livorno, sicuramente una delle più 'vecchie' della città, con i suoi quasi 50 anni di attività.

Proprio lì, infatti, è partita la straordinaria avventura del maestro Gufoni, cintura nera VIII dan - il primo in Italia ad avere ottenuto quel grado (sono solo due) -, antesignano del Karate, assieme agli ormai leggendari maestri Wladimiro Malatesti e Augusto Basile.

'Bibi', è senza altro uno dei personaggi più rappresentativi della Fik unica federazione di karate riconosciuta dal Coni, un uomo che ha educato diversi maestri e plasmato fior di campioni, basti citare Alessandro Fasulo, con le sue oltre 10 medaglie d’oro, 4 d’argento, 3 di bronzo, senza contare anni di presenza in nazionale e le innumerevoli affermazioni di livello nazionale.

Maestro, negli anni successivi al secondo conflitto mondiale certe discipline, oltre ad essere praticamente sconosciute, venivano guardate con sospetto e diffidenza.

Com’è che lei introdusse il karate a Livorno?
"Negli anni ’50 si intendeva parlare di quelle che venivano chiamate 'lotte giapponesi' e si leggeva che certe discipline per quel popolo facevano addirittura parte dei programmi scolastici fin dal 1922, poi, dopo la resa del Giappone gli americani, che dovevano averne fatto le spese, misero al bando per qualche anno le atri marziali, fin quando, trasformate in specialità sportive con l’introduzione del controllo dei colpi, il governatore militare Mac Arthur le rese di nuovo legittime.
Fu all’inizio degli anni ’60 che il sottoscritto, con il maestro Francesco Avellino e con Enrico e Riccardo Bagnoli, primi in assoluto, ci accostammo al ju jitsu su un materasso di stracci di 4 metri per 4 sistemato alla meglio in un locale delle vecchie Acque della salute. Intanto, da Firenze giungevano notizie di un certo maestro Luciano Campolmi (un vero fuoriclasse) che studiava il karate.
La cosa dapprima mi incuriosì, poi mi entusiasmò tanto da farmi consumare la strada fra Livorno e il capoluogo toscano per dedicarmi con passione alla nuova disciplina. Conseguita la cintura arancione (non era semplice come oggi, dato che alla pratica si accompagnava un contenuto filosofico e anche spirituale) fui autorizzato a trasmettere quanto stavo apprendendo anche ai miei compagni livornesi, Avellino e i Bagnoli.

Non passò molto tempo che la nostra ristrettissima cerchia cominciò ad ampliarsi mentre, periodicamente, il maestro Campolmi veniva a darci man forte da Firenze con i suoi seguaci, facendoci conoscere anche l’asso giapponese Tetsuji Murakami (1927-1987), lo straordinario capo scuola dello stile shotokai che, dal 1957, insegnava in Francia e teneva una propria scuola a Parigi, 'La maison de jeunesse'. Murakami si presentava con una metodologia di insegnamento alquanto…. ruvida e decisa, per noi occidentali, e con un programma tanto sintetico quanto risolutamente inquivocabile: 'Vincere se stessi, nel corpo e nei sentimenti. Prima il corpo. È necessario romperlo , togliergli ogni resistenza, poi modellarlo, formarlo. E’ necessario un allenamento estremamente duro'".


Tutto sempre sul materasso di stracci di 4 per 4?
"Beh, no. Nel 1964 ci trasferimmo in una sede assai più spaziosa e decorosa, con un vero tatami di paglia pressata (oggi se ne vedono sempre meno) sul viale Italia, sotto la pizzeria Pulcinella. Costituimmo una società formata, oltre che da me l'intervista e dai Bagnoli, anche da Giuliano quadretta e Benito Bianchi - campione mondiale di bridge.

In seguito si unirono a noi anche franco Nigiotti e Vittorio Domenici, apprezzato istruttore di judo che oggi è praticamente il titolare e la memoria storica dell'attuale palestra. La sede di viale Italia non tardò a costituire un richiamo, a suscitare interesse e curiosità, affollandosi presto di allievi. Venivano a vederci in molti, compreso Armando Picchi con la sua Inter, interessato ai nostri metodi di allenamento".

Come siete passati dal viale Italia a via Marradi?
"Non si trattò, allora, di un passaggio, ma di una espansione dettata dalla necessità di spazio. Le arti marziali, anche grazie a certa cinematografia, avevano un successo crescente, il maestro Avellino si cimentava con il Ju jitsu e, poi, anche con il Kendo e l’Ajkido, in seguito fu affiancato anche dal valentissimo Ivano Benvenga, insomma, cominciavamo a fare davvero sul serio e ad avere le prime soddisfazioni nelle competizioni nazionali.

I ricordi di quel periodo mi riportano a Roberto Bellini, divenuto campione italiano, che gareggiò più volte in nazionale. Comunque, per quanto ampio fosse, il locale di viale Italia cominciò a rivelarsi insufficiente, fu allora che, liberatasi l’at - tuale palazzina di via Marradi, già sede del consolato elvetico, ne facemmo una succursale destinata ad allievi…. più esigenti, tenendovi dei corsi privati.
Benito Bianchi, intanto vi organizzava anche tornei di bridge ad alto livello".

Quanti campioni sono passati per le sue mani?
"Sinceramente, non ce la faccio a ricordarli tutti e non vorrei fare torto ad alcuno. Consideri che, per diversi anni, la palestra è stata fra le primissime società in Italia ad ottenere affermazioni anche a livello europeo e mondiale - dice puntando l’indice su una selva di coppe stiate su un armadio;
oltre ai già ricordati Fasulo e Bellini, pensiamo ai campioni italiani (alcuni più volte) Gianni Borrelli, Franco Funari, Sergio Pardini…., alla medaglia d’ar - gento europea e più volte campione italiano Alessandro Pucci, a Gian Franco Mungai, Mauro Pellegrini, Giorgio Damiani…, ma, veramente, è difficile, sui due piedi ricordarli tutti.
Atleti molto seri, che si allenavano con umiltà e disciplina singolari. Vorrei ricordare, come allievi a cui sono particolarmente affezionato, da Viviano Biagi a Carlo Simonetti, a Gian Carlo Ferrini, detto affettuosamente Bocca".


Intervista al Maestro Gufoni in occasione della consegna del 9° Dan Ottobre 2015
Il Karate sportivo è una cosa e il Karate Marziale un'altra


Tabella FESIKA


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