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ELOGIO DELLA FORMAZIONE
Elogio alla Formazione
A cura di Padoan Ivana Maria
Università di Venezia Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze
Dopo il sonno 
la formazione è la prima attività della nostra società. 
J. Beillerot (1984)


La maggior parte delle persone, passa più tempo ad apprendere e ad insegnare che a produrre beni e servizi J. Beillerot, La sociètè pedagogique, PUF Paris 1984).. Si potrebbe dunque considerare legittimo parlare della società attuale come di una società formativa.

Si sa benissimo quali sono le critiche che si muovono attorno alle caratterizzazioni globali di una società in una condizione di veloce e differenziato cambiamento. Che la si definisca società industriale come nell'800 o società della comunicazione come negli anni '80, si tratta certamente di un riduzionismo eccessivo. Con l'idea di una società formativa non si vuole intendere che la società si spiega secondo il modello formativo, ma semplicemente che questo fenomeno ha invaso la maggior parte delle attività della vita, del lavoro e del tempo libero. Con la formazione dobbiamo dunque fare i conti nel percorso quotidiano di ognuno di noi

Questa diffusione formativa non è spiegabile con lo sviluppo delle conoscenze e nemmeno con il ruolo sociale della scuola, essa si spiega "in rapporto diretto con un  progetto politico di gestione sociale". Un progetto di per sè non significa che tutte le persone ne siano coscienti e nemmeno che esso sia governato da qualche istituzione predisposta. L'ambito formativo sembra effettivamente sfuggire a chi precedentemente aveva governato la società: le istituzioni scolastiche, la famiglia, la politica. Nel passato corrispondeva piuttosto ad un arbitrariato culturale (dalla cultura illuministica in poi) o ad una pratica, ovvero un insieme di comportamenti e di azioni coscienti e volontarie di trasmissione dei saperi facenti appello alla ragione o alla fede. L'azione formativa oggi, concerne piuttosto un campo di azioni complesse che incrociano diverse performance: di informazione, di simbolizzazione, di addestramento, di propaganda, di cultura, di educazione, fino ad arrivare alle azioni terapeutiche e politiche. La struttura della formatività non si riconosce necessariamente in nuovi contenuti, questi, come d'abitudine, rispondono alle sempre nuove  esigenze di scoperta e di evoluzione. L'introduzione di un sistema formativo si riconosce piuttosto nei nuovi processi professionali e organizzativi che vengono messi in atto. Con la formazione si passa da una struttura di professionali istituzionalmentelegittimati, ad una struttura di professionali socialmentericonosciuti. Assieme ai formatori legittimati, gli insegnanti per esempio, troviamo i formatori occasionali, i professionisti che fanno i consulenti, i tecnici, coloro che intervengono nelle attività di non profit e di assistenza, i professionisti del lavoro, i professionali della cura del quotidiano.

Ma da dove nasce questo grande cambiamento di realtà e di prospettiva formativa? La cultura precedente rispondeva prevalentemente a strutture gerarchiche  non solo tra le persone, ma tra i saperi e le professioni. Il superamento attuale dei modelli positivistici, meccanicistici, idealistici, ha permesso la ricomposizione tra il sapere e il fare, tra il sapere, l'essere e il fare. La rottura epistemologica del modello deterministico rende all'azione il valore epistemologico di capacità di teoria e di sviluppo conoscitivo. In questo senso l'azione non è più necessariamente dipendente dal sapere ma è sapere essa stessa. Governare questo sapere significa accedere alla formazione. Il soggetto non viene più addestrato a., ma si forma a., si forma con., si forma per.. Con la formazione, la soggettività stessa diventa autrice dell'apprendimento e del cambiamento. In quanto senso il soggettonon è più manipolato dalla materia, dai contenuti, ma entra in relazione con la materiaattraverso la mediazione del formatore. Il sapere non è più quindi oggetto di un passaggio diretto,

Maestro    Allievo

ma piuttosto relazione tra,

Sapere/Pratica

Maestro                              Allievo


Oggetto della formazione diventa dunque la relazione al sapere che il maestro e l'allievo instaurano. Il superamento del modello duale (dipendenza), con il rapporto triangolare (scelta, decisione e consapevolezza), sono alla base della concezione formativa. Non è dunque il possesso del sapere che caratterizza il rapporto formativo del maestro con il suo allievo, ma la qualità della relazione di sapienzache il rapporto riesce ad instaurare e a governare. Nella società della complessità non abbiamo bisogno di soggetti costruiti, ma di soggetti costruttori, capaci di prendere decisioni e di risolvere problemi: la postmodernità richiede autonomia, flessibilità, forza, sicurezza e mediazione.  

Un modello formativo per il Karate.

Proviamo dunque a evidenziare i nessi significativi che distinguono una formazione nella pratica del Karate.
Tavola1 e 2 (file in formato PDF)
Tavola1 - Tavola2

1. Significato dell'idea di formazione: Formare viene dal latino formareche significa in senso forte dare l'essere e la forma e in senso debole  organizzare, costruire. Formare in senso ontologico si correla  al mito della Genesi in cui l'uomo è costruito a immagine  e a somiglianza di Dio. Formare nel karate evoca un'azione profonda sulla persona, un'azione di trasformazione di tutto l'essere. Formare è dunque un'azione globale che porta a sua volta sul sapere, sul saper fare e sul saper essere. Formare implica inoltre che "l'istruzione che passa" da maestro ad allievo, venga messa in pratica nella vita. Formare significa un approccio alle conoscenze ma anche ai valori e alla personalizzazione del soggetto che apprende. 

2. Dalla necessità al desiderio verso la nozione di cambiamento: Una concezione formativa costruita sull'epistemologia del bisogno è strettamente funzionale ad una concezione deterministica e di dipendenza degli esseri umani (individui) dalla natura, dalla società, dagli archetipi. Nella dimensione del desiderio, l'uomo si riconosce soggetto capace di progettare la propria identità. In questo senso il soggetto in formazione non può essere cambiato dall'esterno ma è in cambiamento quando la sua pratica diventa azione interiorizzata e ricerca consapevole del proprio essere al mondo. L'apprendimento nel karate non è un'istruzione di adattamento, ma un processo di cambiamento in quanto progetto, sperimentazione, ipotesi di ricerca personale.

3. La formazione del karate nella società postmoderna: Di fronte alla moltiplicazione e all'accrescimento delle conoscenze, la postmodernità s'interroga sulla possibilità di ricostruire un universo sociale culturale e formativo che faccia posto sia alla ragione che all'essere, alla razionalizzazione e alla soggettività. Questo universo sarà inevitabilmente complesso. Si perderà il sentimento della certezza, si riconoscerà il sentimento instabile di ogni conoscenza ma sarà capace di stabilire legami e mediazioni fra fatti contradditori, cercherà di integrare  
Rispetto al modello illuminista, proliferante, razionale, tecnico, e oggettuale, viene ipotizzato un sapere meno dispersivo, più integrato, più soggettivo anche se più complesso nella sua pluralità di identità. E questo è il risultato della presa di coscienza del singolo, di ogni soggetto  di fronte alla propria formatività. L'allievo non può più essere messo davanti a una serie di principi e di regole assolute, ma davanti alla propria produzione. In questo senso l'azione formativa si riconosce in quanto azione di com-prensione  e di regolazionedelle forme di produzione dei soggetti stessi.

4. La formazione nel sistema organizzativo del Karate: In questo quadro di riferimento un processo formativo nell'ambito del karate implica una completa rivoluzione
di prospettiva. Si tratta infatti di leggere il modello dell'insegnamento alla luce della concezione formativa e non del semplice addestramento. Su questo aspetto il sistema del karate confronta assieme, la propria storicità con il presente e con il futuro. La logica di separare il sistema tra tradizione e modernità è più una logica politica che formativa, ma soprattutto è una logica astratta. Nessuno è perfettamente tradizionale come nessuno è perfettamente moderno. Quando si usa la tradizione come modello, la logica del discorso è di tipo spaziale. Ma noi sappiamo benissimo che nella storia, è la temporalità, nella sua evoluzione ricorsiva, la matrice della conoscenza e dello sviluppo. Ciò che il karate ha espresso e esprime, in ogni tempo e in ogni luogo, è l'interpretazione che ogni Maestro e ogni Allievo danno della propria "teoria-azione" in rapporto al modello conosciuto e  nella sua implementazione nel contesto.
Sicuramente  vi è più o meno rispetto di tradizioni e di modelli storici, e ciò corrisponde ai riferimenti culturali e filosofici che sostanziano ogni pratica, rispetto a semplici riferimenti tecnici o fisiologici, ma ciò che può essere "trasmesso", insegnato, formato,  è un progettodi karateche si confronta continuamente nel divenire. E' in questa dimensione che vanno ricercate le diverse correlazioni e le relazioni significative che danno senso a questa pratica nella storia e nei contesti.

5. La forma-azione del karate: Il karate è fondamentalmente una formazione che si realizza attraverso il corpo, ma paradossalmente il suo paradigma fondamentale non si confronta con la sola corporeità e nemmeno con il movimento, ma con la mente, lo spirito. Nel karate il corpo è la materia che nella tradizione greca diventa elemento pensante, sede dell'unità mente-corpo e dunque oggetto e soggetto insieme. E' in questa epistemologia che vanno ricercati i fondamenti della pratica e della sua evoluzione.  
Un secondo aspetto formativo è la dimensione di interculturalitàche esprime. La sua connotazione originaria orientale dal punto di vista storico e la sua divulgazione nell'occidente lo porta a dover essere pensato non più come materia di una tradizione, ricordo di una  madre patria, colonizzazione culturale, ma espressione di trans-cultura capace di connettere significati e comportamenti nella pluralità e nella differenza delle culture. Più il karate acquista in interculturalità più viene concepito come pratica vitale e di sviluppo globale. 
Un terzo aspetto concerne lo sviluppo della sua storia e la scelta dei suoi modelli. La pratica del karate senza la conoscenza della sua storia è una pratica coatta, portatrice di dipendenze più che di pensiero e di sviluppo formativo. E' nella conoscenza dei suoi processi e delle sue spiegazioni che si ritrova la matrice dinamica della sua tecnica  e della sua strategia formativa.

6. La competenza nel karate: Due sembrano essere i livelli di attenzione della pratica dal punto di vista della formazione. Un livello di base che si confronta con il quotidiano della vita e la formazione professionale. 
Nel primo aspetto il karate ha la necessità di confrontarsi con i contesti di appartenenza in cui risiede e di stabilire con questi legami di contiguità e di implementazione. Il bambino, l'adulto, l'anziano che fanno karate, prima di confrontarsi con la cultura, la  storia, la  filosofia e con i suoi miti, si correlano con la propria corporeità, con la propria mente e con la propria psiche, ovvero con le loro identità. Esiste una dinamica che ogni azione sull'uomo, che si dica formativa, deve rispettare e questa è l'identità delle persone e dei loro contesti. Segue a questo l'aspetto specialistico del karate. La pratica del karate, a differenza di altre discipline sportive, è una filosofia di vita e di comportamento. Su questo punto tuttavia vi sono molte ambiguità che risiedono su alcuni archetipi culturali della pratica. Il nodo sta nel confronto tra addestramento e formazione. Non occorre ricorrere a Pavlov per spiegare il rischio della concezione addestrativa, ma è significativo ricordare che la vita e il quotidiano non necessitano di addestramento ma piuttosto di ragionamento e di apprendimento consapevole ed equilibrato.
Altro significato assume la pratica del karate per i professionisti. Qui siamo nell'estremo specifico della materia. Il confronto qui  sta nell'efficacia e nell'efficienza delle expertises  di quei praticanti. In questo ambito la formazione diventa molto più complessa, modellizzata strutturata e determinata. Qui è la storia che spesso vince sui contesti. Tuttavia come ben ci ricorda Einstein niente è finito e immutabile. Ogni storia non è mai il calco del passato, ma interpretazione viva e continua. La qualità in questa prospettiva è il grado di competenza relativa, più assoluta possibile, nell'interpretazione della tecnica e delle sue strategie. In questo senso, il professionista si riconosce dalla sua riflessività (D.Shon, Il professionista riflessivo, Dedalo Bari, 1993) ovvero dal controllo continuo della suapratica (Dal un punto di vista scientifico fisiologico e funzionale tale aspetto è stato evidenziato dalle ricerche sul campo fatte dal Lafal2) (sottoposta alla relatività) con la pratica trasmessa (della storia) nelle sue configurazioni e spiegazioni.

Nel professionista è il modello che vince sulla vita.
Nella vita è l'identità che vince sul modello.
La formazione comprende ambedue queste anime dando sede a ciascuna.

7. La formazione dei formatori: Una "società formativa" ha la necessità di reggersi sulla qualità e sulla competenza dei suoi formatori. Se pensiamo alla storia vediamo che essa si trasmette attraverso le persone e i processi. I processi prendono anima e corpo attraverso le identità delle persone. I miti e i riti tuttavia non sono semplicemente delle soggettivizzazioni, ma strutture di sapere e di expertise incarnate nei soggetti e nelle loro identità. Ogni formatore sa che queste soggettività rappresentano dei processi, e sono questi processi che devono diventare oggetto di apprendimento. Parafrasando, con la qualità della formazione dei formatori, si distingue il vero karate dal falso.

Lo schema di L. Paquay (L. Paquay, Vers un rèfèrentiel des compètences professionnelles de l'enseignants, in Recherche et Formation, INRP Paris, 1994, n. 16, pag.7-33.) ci è sembrato utile per sottolineare il quadro di riferimento sul quale convergono prospettive diverse, ma soprattutto modi di azione differenti che condizionano a loro volta strategie e strumenti differenziati. I paradigmi che riquadrano le dimensioni formative delle competenze si possono riconoscere in queste "etichette" (L. Paquay , ivi.):

Un formatore
istruito
Padroneggiare e coltivare:
Saperi disciplinari e interdisciplinari
Saperi didattici ed epistemologici
Saperi pedagogici, psicologici e filosofici
Un formatore
tecnico
Mettere in opera dei saper fare tecnici e applicare le regole formalizzate
Saper utilizzare tecniche attive
Un formatore
artigiano
Saper realizzare i compiti assegnati per ogni  funzione
Saper utilizzare routine di schemi di azione  contestualizzati 
Un formatore
riflessivo
Saper riflettere sulle proprie pratiche e analizzare i loro effetti
Saper produrre strategie e  strumenti innovativi (riquadramento concettuale, stilistico e operativo)
Un formatore
sociale
Saper analizzare le implicazioni antropo-sociali delle situazioni quotidiane
Saper partecipare a progetti collettivi e cooperativi
Un formatore della
persona
Essere in sviluppo personale (in divenire)
Essere in progetto di evoluzione professionale
Essere in relazione, saper comunicare e animare
Saper migliorare la qualità della propria produzione 

Facendo una sintesi dei paradigmi sottolineati, la formazione porta
- analizzare situazioni complesse in riferimento a diverse griglie e letture teoriche e pratiche,
- fare rapidamente in termini riflessivi la scelta di strategie, adattarle agli obiettivi e alle esigenze etiche,
- scegliere in un grande ventaglio di saperi, di tecniche, di strumenti, di mezzi i più adeguati e strutturarli in dispositivi di azione,
-  adattare rapidamente i propri progetti in funzione dell'esperienza,
- analizzare in maniera critica  le proprie azioni e in un secondo tempo i risultati sul campo,
- infine secondo il processo di valutazione continua, monitorare il proprio intervento

Nella formazione dei formatori allora, la formazione delle competenze è il risultato non di saperi puri, ma piuttosto di saperi complessi e plurali  mobilizzati correntemente nella formazione professionale.
Conclusioni:

Abbiamo visto come la dimensione formativa nella società postmoderna non si esaurisce in una semplice logica di rapporto insegnamento e apprendimento secondo il sistema tradizionale e classico. Il sistema della pluralità e della complessità dei soggetti, dei contesti e dei modelli orienta la dinamica formativa in una dimensione di cultura organizzativo - sociale. Al di là del modello politico e ideologico scelto, essa comporta il confronto con il sociale e con le organizzazioni sociali di riferimento. In una cultura modernista siamo stati abituati a ragionare per principi. La globalizzazione attuale richiede che i principi vengano governati con le relazioni. Cadono gli steccati rigidi tra pubblico e privato, tra istituzione e sociale, tra organizzazione e istituzione.

Le forme si complessificano e si dilatano incorporando contesti, referenze e manifestazioni plurali. Il concetto di  principio astratto è sicuramente in pericolo, ma la concezione di un modello vivo e militanteno. Il karate in quanto portatore di valori educativi e formativi nella società attuale partecipa all'evoluzione pubblica e sociale della società e quindi si integra nel processo di evoluzione  e di formazione delle strutture che reclamano un diritto di partecipazione ad uno status sociale pubblico.

Tabella Ivana


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